È in uscita l’edizione rimasterizzata della trilogia originale di Mass Effect; storytelling di razza e implicazioni etiche hanno lanciato l’epopea sci-fi Bioware nella galassia dell’arte videoludica. Di seguito un focus sull’umanesimo illuminista di Mass Effect, come antidoto alla deriva antietica contemporanea
Shepard: A quanto pare hai trovato un po’ di umanità, IDA. Vale la pena difenderla?
IDA: Fino alla morte.
Il trittico originale dei Mass Effect – saga di videogiochi di ruolo/action pubblicata da Bioware tra il 2007 e il 2012 – fa muovere i personaggi lungo la Via Lattea, tra salti a velocità luce e combattimenti su scala galattica. La storia del protagonista, comandante Shepard (uomo o donna a scelta e personalizzabile in aspetto e inclinazioni), si fonde con intrighi inter-specie e l’avvento di mostruosità lovecraftiane, mietitrici di mondi. È il 2183 e il personaggio, controllato dal videogiocatore, è un ufficiale dell’Alleanza, unione delle forze impegnate nell’espansione tra gli astri della razza umana. Nell’arco di tre giochi, Shepard – pastore di popoli, nomen omen (shepard è pastore in inglese) – combatte sui due fronti della guerra galattica coi Razziatori (i mietitori planetari di cui sopra) e dell’ingresso della razza umana nel Consiglio delle specie “nobili”. Non solo: trattandosi di fantascienza alta, a moti spaziali in ampiezza corrispondono discese psicologiche verticali, slanci negli abissi dell’inconscio. La scoperta dell’ignoto è confronto con l’oltremondo alieno, ma anche scandaglio della psiche di protagonista e comprimari, con traumi da risolvere e ferite da rimarginare. Sale e corridoi metallici della Normandy – nave stellare e testa di ponte nello “sbarco in Normandia” del post-mondo galattico – diventano ramificazioni nervose e vasi linfatici, in cui si svolgono vere sedute di psicologia collettiva. Il cuore dell’astronave, il motore che permette salti a velocità luce, batte al ritmo dei ventricoli di Shepard.

Caleidoscopio umano
Pur navigando in un contesto sci-fi hard (radicato nella verosimiglianza scientifica), Mass Effect presta – in apparenza – il fianco nella caratterizzazione delle specie aliene. Gli extraterrestri con cui Shepard entra in contatto sono tutti molto, troppo, umani. Turian, Asari, Salarian, Quarian e Krogan (un po’ meno) sono quasi-uomini bipedi con notazioni fisiologico-sociali solo relativamente distintive (i Turian e i Krogan uberguerrieri, i Salarian nevrotici e maestri di scienza, le Asari epicuree e monosesso, i Quarian dalla fisionomia umana celata dentro tute protettive). Tutti pensano da pseudo-umani, l’abisso antropologico del primo contatto con l’alieno – che ha un arco di soli 30 anni, dall’impatto all’integrazione, all’interno del gioco – ingegnera scosse d’assestamento paragonabili al più all’impatto tra due culture terrestri lontane (la dinamica è avvicinabile al, pur violento e drammatico, incontro-scontro tra Spagnoli e Amerindi; meno allo scostamento percettivo presumibile dinanzi alla scoperta della non esclusività, su scala spaziale, della propria condizione di razza tecnologizzata). Solo i popoli galattici minori e secondari a fini narrativi – gli Hanar, i Volus, gli Elcor, i Drell, i Rachni, gli Elcor – hanno una qualificazione più aliena in senso etimologico (altrui/diverso); tra conformazioni medusoidi, mentalità alveari, fisiologie impenetrabili e differenti percezioni dello scorrere del tempo.

Torniamo al “capolavoro umanista” del titolo. La scelta degli sviluppatori Bioware è, a ben vedere, deliberata: Turian, Asari, Salarian, Quarian e Krogan sembrano cognitivamente umani perché Mass Effect è una storia sull’umanità come razza, ma soprattutto come qualità empatica, cifra raziocinante. Gli alieni sono noi; o, meglio, ogni razza aliena ha, narrativamente, la funzione di declinare uno specifico tassello del caleidoscopio che compone l’essere umani. Parlar d’altri per parlare di sé stessi: cosa che, come detto, è focus di tanto sci-fi d’arte e di fantasy d’eccellenza (da Tolkien in giù). E così l’istinto della razza umana alla lotta (fisica, sociale e spirituale) si stratifica nella doppia declinazione: guerra come istinto, pura violenza, estrinsecata dalla caratterizzazione dei Krogan; adattamento necessario nella sfida a un universo meccanicista, esplicitata dalla civiltà Turian. Ancora: le Asari – “maghe” biotiche naturali; in grado di manipolare la materia oscura – riecheggiano, tra cultura millenaria zen (specie più avanzata della Galassia, sia tecnologicamente che in quanto ad anima) e apertura al diverso (possono riprodursi con ogni specie senziente), il lato più inclusivo, empatico della nostra civiltà. I Quarian – forse la specie meglio caratterizzata, anche per il rapporto conflittuale con i “robot” sintetici Geth articolato nel corso dei tre videogiochi – vivono in rapporto simbiotico con le proprie tute a causa di un sistema immunitario compromesso. Non possono avere contatti fisici con altri individui e con il mondo esterno, per non rischiare infezioni mortali. Un link sinistro con l’umanità pandemizzata del 2020.
A ciascuno il suo problema
Se dietro alle razze aliene si celano gradazioni di umanità, nelle storie e nei conflitti dei comprimari arruolati da Shepard s’intravedono spiragli di umano più specifici, risonanti. L’equipaggio d’elite della Normandy – che in 3 giochi vede alternarsi 20 tra supersoldati, assassini, biotici, cloni, androidi e scienziati – è, per tornare a Shepard-pastore, gregge smarrito in veste di branco spaziale; con voragini emotive da colmare. Il Comandante stesso – e quindi il giocatore che ne controlla azioni e scelte morali – può orientare la propria condotta lungo due sentieri antitetici: quello di Esemplare e quello di Rinnegato. Giocando da Rinnegato si decide di sottostare – legittimamente, da un punto di vista ludico – alla logica belluina della sopraffazione, cifra del Male che si dovrebbe combattere. Partecipi dell’entropia astrale, si fa uso di brutalità reiterata nelle interazioni coi png (personaggi non giocanti), distaccandosi da una prospettiva raziocinante e più intrinsecamente umana.
La versione Esemplare del protagonista è quella in genere più sfaccettata e dotata di maggiori link sottotestuali con l’impianto macronarrativo. Shepard-Esemplare contrappone al male primigenio dei Razziatori un sentimento umano altrettanto atavico: la distruzione si vince con la creazione, con la condivisione; con la formazione di legami. La battaglia si gioca sul piano concreto della guerra e del sacrificio di sangue e al contempo su quello metafisico della lotta valoriale e della forgiatura di identità interconnesse, inscalfibili dalla valanga uniformatrice della rapsodia galattica. Assistere i membri dell’equipaggio nel superamento di traumi psicologici e familiari è parte integrante delle meccaniche di gioco e, oltre a ricompense videoludiche, assicura uno svolgimento della trama più organico e moralmente appagante per il giocatore.

Ogni comprimario portato dalla propria parte – dalla parte della forza illuministica dell’umanità che combatte l’avanzata del nulla – è un’identità in più liberata dalla Matrix dell’irresolutezza; e dove c’è mancanza di risoluzione c’è dubbio; e dove c’è dubbio c’è sconfitta. E così Garrus – il turian migliore amico di Shepard – va aiutato nel suo compimento emotivo, in tre tappe che vanno dal rebel without a cause del primo episodio al rebel with a cause del secondo alla maturità del terzo, in cui il focus si sposta dal trovare significato in sé al trovare senso nel rapporto con l’altro. Garrus diventa grande decidendo di prestare la propria ars bellica non più al mero appagamento individualista-istintivo, bensì alla salvezza dei propri cari e del proprio popolo. Da supersoldato a superuomo (l’identità-alter ego che assume nel secondo gioco, Archangel, è rivelatrice) a superumano.
Wrex, capoclan krogan che condivide in parte gli impulsi distruttivi dei suoi conspecifici, comprende – col supporto di Shepard – che l’assioma violenza dà violenza può essere distrutto innestando un impulso creativo. I Krogan, razza di bruti “elevata” (tecnologicamente) da Salarian e Turian per combattere un’altra minaccia su scala galattica (i Rachni; ferali alieni-insetto), sono stati infettati con la genofagia – una sterilizzazione di massa – al termine del conflitto. Una soluzione finale architettata dagli stessi Turian e Salarian per contrastare l’ondata dei ribelli super-guerrieri Krogan, dalla vita millenaria e durissimi a morire. Wrex – che Shepard-videogiocatore può assistere nell’ascesa al comando dei krogan sopravvissuti – è disposto, diversamente dai precedessori, ad accantonare la brama di vendetta. La catena sociale di Mass Effect è, come quella della Ginestra leopardiana, un meccanismo di difesa – l’unico – che umanità e alleati hanno a disposizione nei confronti dell’Universo-macchina, mosso da forze inquantificabili, prive di finalismo. Unirsi per creare, spezzando in piccolo la catena di annichilimento. Krogan e Turian insieme, contro l’apocalisse che avanza.

Messia guerriero
Mass Effect contiene una mole abnorme di linee di dialogo recitate da un cast di professionisti. Le voci degli interpreti di Shepard in versione uomo e donna – i doppiatori Claudio Moneta e Cinzia Massironi per l’adattamento italiano – coprono lo smisurato pool di scelte in faretra al giocatore sul doppio asse Esemplare-Rinnegato (a questo link un esempio di svolgimento divergente della medesima scena). La scelta di rendere – diversamente dai giochi Bioware più arcaici, in cui le repliche dialogiche ingame erano affidate a opzioni di testo mute – il protagonista un personaggio completamente parlanteserve ad accentuare il link tra giocatore e gioco che Mass Effect pretende per farsi vera esperienza etica. Il decision-making è la turbina della storia (con momenti narrativamente esplosivi, come la gestione dell’incontro con la Regina Rachni in ME1 e la risoluzione dell’affaire Quarian-Geth in ME3) e spinge il giocatore, che riceve continui feedback in merito al proprio ruolo di fattore dirimente nella determinazione degli equilibri (o disequilibri) galattici, a porsi tramite Shepard quesiti morali ciclopici. Avanzando nello svolgimento della vicenda, si radica la sensazione di responsabilità per gli esiti che molte azioni ingenerano nel mondo di gioco (il Comandante può, ad esempio, macchiarsi di correità in genocidi e suicidi). Non solo: ogni decisione fa risuonare un preciso accordo etico, una sfumatura della gamma cromatica che compone l’agire umano. Non che contribuire a massacri virtuali equivalga a fare altrettanto nel mondo reale, come ovvio; ma le riflessioni scaturite ingame – suscitate dal verismo di molti accadimenti – possono indurre la persona dietro giocatore e protagonista a scandagliare – nell’arco delle 100 e più ore di avventura – dilemmi suoi propri. Zone d’ombra affrontate tramite analoghi interrogativi – le sedute di psicologia collettiva che si allargano fino a perforare lo schermo – appartenenti a Shepard e compagni.
